Bere ad arte: panoramica storica di opere d'arte a sfondo beverage
Oggi su #intheglass, dedichiamo un articolo all'incontro, apparentemente lontano, tra due mondi ricchi, ognuno a loro modo, di maestria, fascino e cultura: l'arte e il buon bere. Tanto il bere un buon drink quanto l'osservare un'opera d'arte, infatti, sono esperienze che hanno entrambe il magnifico potere di coinvolgere tutti i nostri sensi, dando vita ad un intreccio che potremmo definire magico.
Nella nostra panoramica seguiremo via via un filo conduttore che lega l'opera alla bevanda in essa rappresentata e al contesto storico-culturale nel quale è inserita: faremo questo tour in compagnia di Marianna Domenica Zema, appassionata come me di cultura del bere, ma anche e soprattutto di Arte.
Partiamo dal Seicento, un secolo di grandi artisti e opere talvolta idealizzate come simbolo della perfezione artistica. Luce, colore e convivialità sono i grandi temi del secolo. A questi temi e in generale al contesto storico che trattiamo abbiniamo la bevanda classica per eccellenza, protagonista anche sui banchetti dei popoli antichi: il vino.
< Il vino mi ama e mi seduce solo fino al punto in cui il suo e il mio spirito si intrattengono in amichevole conversazione > Hermann Hesse.
Il bicchiere di vino di Jan Vermeer (1600 ca. - Gemäldegalerie, Berlino) è la prima opera che vi mostriamo.
Tutti conosciamo Vermeer per l'orecchino di perla della sua enigmatica Ragazza col turbante ma ciò che lo rende un grande artista è l'uso geniale che fa del colore e della luce su scene del quotidiano che finiscono col prendere vita in maniera quieta e misteriosa.
Nell'opera vediamo consumarsi una scena quotidiana di conversazione amorosa, suggerita anche dalla presenza simbolica di caraffa e calice di vino e di spartiti e strumenti musicali. Il vino qui è metafora del nutrimento amoroso e invito alla moderazione: notare, a tal proposito, l'attesa impaziente dell'uomo che vorrebbe versare altro vino alla donna, che invece pare centellinare i sorsi senza degnarlo neppure del suo sguardo.
Di tutt'altro messaggio pare invece il Bacco (1600 ca. - Gallerie degli Uffizi, Firenze) del nostro inquieto e amatissimo Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio.
La tela vede il Dio del Vino e dell'Estasi, corrispettivo romano del greco Dioniso, portare in sé tutti i segni dell'ebbrezza (mano tremolante, rossore alle gote ed espressione stordita), mentre offre direttamente a noi osservatori un calice di vino appena versato (notare le bollicine): un invito irresistibile e carico di languida sensualità, nonché testimone di rituali - detti appunto bacchici - in uso nella Roma di quei tempi.
Luce, colori, composizione fotografica, naturalismo e simboli hanno in Caravaggio un'affascinante accezione: caratteristica, che unitamente alla sua biografia, lo rende l'artista più interessante del Seicento italiano.
Continuando con questa cronistoria ci rifacciamo alla seconda metà dell'Ottocento e alla Parigi simbolo della bohéme (termine che deriverebbe direttamente da un salvacondotto del re di Boemia che permise a popoli di nomadi artisti e gitani di giungere in Francia). Qui, intellettuali e artisti che rifiutano le convenzioni sociali scelgono di vivere ai margini, facendo della vita solo ed esclusivamente un'ispirazione per l'arte.
< Un bicchiere d'assenzio, non c'è niente di più poetico al mondo. Che differenza c'è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? > Oscar Wilde.
L'assenzio (1870 ca. - Musée d'Orsay, Parigi) di Edgar Degas è ambientato al Café de la Nouvelle Athènes, storico bistrot parigino luogo d'incontro degli artisti maledetti del tempo. Tuttavia l'autore sembra mostrarci solo il risvolto di questa medaglia, fatto di disagio e di solitudine affogata nell'assuefazione alcolica.
Oltre al calice di vino del clochard, la vera protagonista, è appunto la fata verde e con lei tutti i suoi effetti: la prostituta al centro del dipinto ha infatti svuotato l'intera bottiglia d'acqua che accompagna l'assenzio, e in lei riusciamo a percepire tutto il vuoto nel quale si è persa, mirabilmente immortalato da Degas a mo' di scatto da reportage.
Proprio in questo risiede l'originalità dell'autore: la resa delle impressioni psicologiche che traspaiono dalle situazioni da lui ritratte, perlopiù scene private della vita parigina, rese attraverso il realismo delle prospettive, delle luci e dei soggetti.
Espressività e carica psicologica trovano invece nelle pennellate di Van Gogh un'eccezionalità che coinvolge pienamente anche l'occhio più distratto.
Proprio all'heure verte - l'ora verde tanto cara all'artista olandese di transito in Francia - è dedicato Tavolo da caffè con assenzio (1880 ca. - Van Gogh Museum, Amsterdam).
La tela mostra il culto dell'epoca per la bevanda, usata e abusata non solo nell'ambito di un rituale (presto bandito) accostabile al nostro aperitivo, ma anche come mezzo per annegare le angosce e trovare linfa creativa. La scena rappresentata ci trasporta in prima persona negli occhi dell'artista un attimo prima che il rito abbia inizio, permettendoci di percepirne tutte le suggestioni.
La grandezza di Van Gogh è già palpabile dal solo fatto che qui non c'è un volto o uno sguardo perso a suggerirci l'emozione, bensì è l'assenzio stesso, icona di una generazione di geni maledetti, a farlo.
Le icone e il loro potere diventano decisamente assoluti dal Novecento in poi, tant'è che ancora oggi ne subiamo interamente il fascino. Mercificatori di bisogni e consumatori di simboli sono i "segni particolari" dell'identità di massa, non poi così diversa da quella società che anticamente adorava le icone sacre. Oggi sono gli oggetti comuni, i prodotti di consumo e le personalità popolari a diventare sacre: i brand diventano catalizzatori per creare suggestioni e atmosfere in cui ci identifichiamo, nonché punti d'incontro per desideri umani.
< Il vero spirito di un uomo è all'interno della bottiglia da cui sta bevendo > Anonimo.
Se il volto ripetuto di una Marilyn multicolore è ormai nell'immaginario collettivo della forza creativa di Andy Warhol, l'opera che stiamo per mostrare ne è l'esatto riscontro.
L'incontro tra la società di un marchio come Absolut (la campagna pubblicitaria di maggior successo dell'epoca) e l'estro eccezionale di Warhol è testimoniato dalla serigrafia Absolut Vodka (1980 ca. - National Galleries of Scotland, Edimburgo). Il Re della Pop Art che non beveva alcolici ha usato l'Absolut come profumo, e del "profumo di Warhol" è intrisa l'edizione limitata che la vodka svedese dedica al sodalizio di trent'anni fa.
La capacità di questo artista è tale da fare di una diva pubblicità di consumo e del ritratto di un distillato, invece, immagine di forte seduzione.
L'ultima tappa di questo viaggio ci porta a Gordon's makes us drunk, una video-installazione del 1970 circa del duo inglese Gilbert & George, autodefiniti come sculture viventi e tra i maggiori artisti concettuali dei nostri giorni.
Il filmato è molto simile ad uno spot pubblicitario in cui, come da titolo, una voce ci ricorda che il gin in questione ci rende ubriachi... molto ubriachi. In quegli anni il gin tonic era il cocktail emblema di una cultura e il preferito dei due, che proclamarono il Gordon's il miglior gin. La prima scena in video è una natura morta dei nostri tempi: sull'etichetta del distillato vediamo lo stemma reale assieme ai loro nomi. Provocatori eccezionali, giocano per tutta la pellicola per mezzo di abiti, atteggiamenti e musiche d'élite (I don't want to set the world on fire degli Ink Spots) con una certa irriverenza di fondo.
"Art for all" è principio chiave e fonte d'ispirazione per tutte le loro performance, uno slogan concettuale che è anche il nome dato alla loro abitazione, nella quale sbirciamo proprio attraverso il filmato.
Eccoci giunti al termine di questo, per noi nuovo, tour nel mondo dell'arte a tema beverage. Si tratta di un argomento che ho voluto trattare anche e soprattutto per dare spazio ad accostamenti e connubi con il mondo del bere che spesso non consideriamo o dei quali non siamo sufficientemente partecipi.
Fondamentale in tal senso, è stato l'aiuto della mia amica Marianna, a cui indirizzo ancora una volta il mio grazie per la professionalità e lo spirito d'iniziativa messi nella ricerca che è stata alla base della stesura di questo articolo.
Nella nostra panoramica seguiremo via via un filo conduttore che lega l'opera alla bevanda in essa rappresentata e al contesto storico-culturale nel quale è inserita: faremo questo tour in compagnia di Marianna Domenica Zema, appassionata come me di cultura del bere, ma anche e soprattutto di Arte.
Partiamo dal Seicento, un secolo di grandi artisti e opere talvolta idealizzate come simbolo della perfezione artistica. Luce, colore e convivialità sono i grandi temi del secolo. A questi temi e in generale al contesto storico che trattiamo abbiniamo la bevanda classica per eccellenza, protagonista anche sui banchetti dei popoli antichi: il vino.
< Il vino mi ama e mi seduce solo fino al punto in cui il suo e il mio spirito si intrattengono in amichevole conversazione > Hermann Hesse.
Il bicchiere di vino di Jan Vermeer (1600 ca. - Gemäldegalerie, Berlino) è la prima opera che vi mostriamo.
Tutti conosciamo Vermeer per l'orecchino di perla della sua enigmatica Ragazza col turbante ma ciò che lo rende un grande artista è l'uso geniale che fa del colore e della luce su scene del quotidiano che finiscono col prendere vita in maniera quieta e misteriosa.
Nell'opera vediamo consumarsi una scena quotidiana di conversazione amorosa, suggerita anche dalla presenza simbolica di caraffa e calice di vino e di spartiti e strumenti musicali. Il vino qui è metafora del nutrimento amoroso e invito alla moderazione: notare, a tal proposito, l'attesa impaziente dell'uomo che vorrebbe versare altro vino alla donna, che invece pare centellinare i sorsi senza degnarlo neppure del suo sguardo.
Di tutt'altro messaggio pare invece il Bacco (1600 ca. - Gallerie degli Uffizi, Firenze) del nostro inquieto e amatissimo Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio.
La tela vede il Dio del Vino e dell'Estasi, corrispettivo romano del greco Dioniso, portare in sé tutti i segni dell'ebbrezza (mano tremolante, rossore alle gote ed espressione stordita), mentre offre direttamente a noi osservatori un calice di vino appena versato (notare le bollicine): un invito irresistibile e carico di languida sensualità, nonché testimone di rituali - detti appunto bacchici - in uso nella Roma di quei tempi.
Luce, colori, composizione fotografica, naturalismo e simboli hanno in Caravaggio un'affascinante accezione: caratteristica, che unitamente alla sua biografia, lo rende l'artista più interessante del Seicento italiano.
Continuando con questa cronistoria ci rifacciamo alla seconda metà dell'Ottocento e alla Parigi simbolo della bohéme (termine che deriverebbe direttamente da un salvacondotto del re di Boemia che permise a popoli di nomadi artisti e gitani di giungere in Francia). Qui, intellettuali e artisti che rifiutano le convenzioni sociali scelgono di vivere ai margini, facendo della vita solo ed esclusivamente un'ispirazione per l'arte.
< Un bicchiere d'assenzio, non c'è niente di più poetico al mondo. Che differenza c'è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? > Oscar Wilde.
L'assenzio (1870 ca. - Musée d'Orsay, Parigi) di Edgar Degas è ambientato al Café de la Nouvelle Athènes, storico bistrot parigino luogo d'incontro degli artisti maledetti del tempo. Tuttavia l'autore sembra mostrarci solo il risvolto di questa medaglia, fatto di disagio e di solitudine affogata nell'assuefazione alcolica.
Oltre al calice di vino del clochard, la vera protagonista, è appunto la fata verde e con lei tutti i suoi effetti: la prostituta al centro del dipinto ha infatti svuotato l'intera bottiglia d'acqua che accompagna l'assenzio, e in lei riusciamo a percepire tutto il vuoto nel quale si è persa, mirabilmente immortalato da Degas a mo' di scatto da reportage.
Proprio in questo risiede l'originalità dell'autore: la resa delle impressioni psicologiche che traspaiono dalle situazioni da lui ritratte, perlopiù scene private della vita parigina, rese attraverso il realismo delle prospettive, delle luci e dei soggetti.
Espressività e carica psicologica trovano invece nelle pennellate di Van Gogh un'eccezionalità che coinvolge pienamente anche l'occhio più distratto.
Proprio all'heure verte - l'ora verde tanto cara all'artista olandese di transito in Francia - è dedicato Tavolo da caffè con assenzio (1880 ca. - Van Gogh Museum, Amsterdam).
La tela mostra il culto dell'epoca per la bevanda, usata e abusata non solo nell'ambito di un rituale (presto bandito) accostabile al nostro aperitivo, ma anche come mezzo per annegare le angosce e trovare linfa creativa. La scena rappresentata ci trasporta in prima persona negli occhi dell'artista un attimo prima che il rito abbia inizio, permettendoci di percepirne tutte le suggestioni.
La grandezza di Van Gogh è già palpabile dal solo fatto che qui non c'è un volto o uno sguardo perso a suggerirci l'emozione, bensì è l'assenzio stesso, icona di una generazione di geni maledetti, a farlo.
Le icone e il loro potere diventano decisamente assoluti dal Novecento in poi, tant'è che ancora oggi ne subiamo interamente il fascino. Mercificatori di bisogni e consumatori di simboli sono i "segni particolari" dell'identità di massa, non poi così diversa da quella società che anticamente adorava le icone sacre. Oggi sono gli oggetti comuni, i prodotti di consumo e le personalità popolari a diventare sacre: i brand diventano catalizzatori per creare suggestioni e atmosfere in cui ci identifichiamo, nonché punti d'incontro per desideri umani.
< Il vero spirito di un uomo è all'interno della bottiglia da cui sta bevendo > Anonimo.
Se il volto ripetuto di una Marilyn multicolore è ormai nell'immaginario collettivo della forza creativa di Andy Warhol, l'opera che stiamo per mostrare ne è l'esatto riscontro.
L'incontro tra la società di un marchio come Absolut (la campagna pubblicitaria di maggior successo dell'epoca) e l'estro eccezionale di Warhol è testimoniato dalla serigrafia Absolut Vodka (1980 ca. - National Galleries of Scotland, Edimburgo). Il Re della Pop Art che non beveva alcolici ha usato l'Absolut come profumo, e del "profumo di Warhol" è intrisa l'edizione limitata che la vodka svedese dedica al sodalizio di trent'anni fa.
La capacità di questo artista è tale da fare di una diva pubblicità di consumo e del ritratto di un distillato, invece, immagine di forte seduzione.
L'ultima tappa di questo viaggio ci porta a Gordon's makes us drunk, una video-installazione del 1970 circa del duo inglese Gilbert & George, autodefiniti come sculture viventi e tra i maggiori artisti concettuali dei nostri giorni.
Il filmato è molto simile ad uno spot pubblicitario in cui, come da titolo, una voce ci ricorda che il gin in questione ci rende ubriachi... molto ubriachi. In quegli anni il gin tonic era il cocktail emblema di una cultura e il preferito dei due, che proclamarono il Gordon's il miglior gin. La prima scena in video è una natura morta dei nostri tempi: sull'etichetta del distillato vediamo lo stemma reale assieme ai loro nomi. Provocatori eccezionali, giocano per tutta la pellicola per mezzo di abiti, atteggiamenti e musiche d'élite (I don't want to set the world on fire degli Ink Spots) con una certa irriverenza di fondo.
"Art for all" è principio chiave e fonte d'ispirazione per tutte le loro performance, uno slogan concettuale che è anche il nome dato alla loro abitazione, nella quale sbirciamo proprio attraverso il filmato.
Eccoci giunti al termine di questo, per noi nuovo, tour nel mondo dell'arte a tema beverage. Si tratta di un argomento che ho voluto trattare anche e soprattutto per dare spazio ad accostamenti e connubi con il mondo del bere che spesso non consideriamo o dei quali non siamo sufficientemente partecipi.
Fondamentale in tal senso, è stato l'aiuto della mia amica Marianna, a cui indirizzo ancora una volta il mio grazie per la professionalità e lo spirito d'iniziativa messi nella ricerca che è stata alla base della stesura di questo articolo.
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